Il Bambino che sognava la Montagna

4 Comments

“Sono passati 50 anni! Svegliati! Svegliati!” Mi ripeto da solo di tanto in tanto.

Ma quel bambino che sognava la montagna è ancora ben nascosto dentro di me e non vuol proprio saperne di crescere. E solo chi nasce con la montagna nel cuore può capire.

Credo (…immagino) succeda la stessa cosa anche a chi ama il Mare, il Lago o la Pianura. Ma ognuno ha le sue passioni e la mia, mi ha sempre condotto in quel magnifico mondo, che dalla collina conduce fino al cielo. Sono sempre stato un sognatore ad occhi aperti e nei sogni tutte le cose assumono un’enfasi quasi surreale.

In vacanza, tra i monti della Valtellina, mi sedevo sui gradini delle vecchie vie pedonali del paese ed ascoltavo i racconti degli anziani che, lassù negli alpeggi, avevano vissuto gran parte della loro vita, lavorando duramente ed affrontando le intemperie e le avversità dei lunghi e rigidi inverni di un tempo.

Ero affascinato da quel mondo e la mia immaginazione era così grande che a volte sognavo di essere uno di loro. Spesso mi recavo a casa di una donnina anziana, che vestiva rigorosamente di nero e viveva in un monolocale seminterrato del centro storico, illuminato dai pochi raggi di sole che filtravano dalla piccola finestra che dava sul retro. Il pavimento, in legno grezzo, odorava di fuliggine, come spesso succede nelle baite e nelle vecchie case di montagna, riscaldate da scoppiettanti camini a legna.

Perdersi nei suoi racconti era la sensazione più bella. La osservavo mentre, con le sue mani vissute, cuciva ed assemblava un tipo particolare di scarpe chiamate Pedü, calzature tipiche valtellinesi, completamente artigianali, con la suola fatta cucendo tra loro diversi strati di stoffa e la tomaia in velluto. Lavorava tutto il giorno per mantenersi attiva, e mi raccontava di quando, durante i rigidi inverni d’altri tempi, per poter uscire di casa, si dovevano spalare abbondanti nevicate, spesso superiori al metro, ricavando stretti percorsi nel manto bianco. Oppure di quando in primavera, Lei ed i suoi coetanei, venivano inviati dai genitori, a passare la stagione estiva in alpeggio, mungendo mucche e vivendo di quello che offriva quel tipo di attività. Latte, formaggio e finché le scorte lo permettevano, pane e polenta. Un mondo faticoso ed allo stesso tempo magico ai miei occhi di bambino sognatore.

Uscire da quella casa era come riaprire la porta del futuro, di ritorno da un viaggio nel tempo. Un viaggio del quale ancora oggi, custodisco i bagagli.

Buona Montagna a tutti, reale o sognata che sia.

Claudio.

4 Replies to “Il Bambino che sognava la Montagna”

  1. Bellissimo articolo, Claudio, complimenti, sia per la stesura che per il contenuto.
    Un plauso per la foto scattata in “terra santa”😜

  2. Ciao Claudio, leggo solo ora il tuo post (e di questo ti chiedo scusa) e posso dirti che l’ho trovato bellissimo! Fa riflettere che le stesse scarpe cucite in Valtellina somiglino cosi’ tanto a quelle cucite dalle portatrici Carniche nel corso della I Guerra Mondiale (ti consiglio di leggere “Fiore di roccia”…) quasi a confermare che “la montagna” e’ un’unica entita’ che accomuna le genti che la vivono e, perche’ no, che la amano! Grazie per questi momenti condivisi…Federico

    1. La montagna accumuna, chi la ama e chi la vive. Io credo che la difficoltà date dalla fatica che si affronta vivendo la montagna sia la chiave giusta sulla quale riflettere.
      Le persone che si trovano a vivere insieme una difficoltà (piacevole come la montagna o triste come la povertà e altre difficoltà della vita) sono unite e solidali tra loro.
      A 3.000 mt ci si saluta sempre, anche senza conoscersi, si condividono i consigli sui sentieri migliori, ci si aiuta in caso di bisogno.
      Chi vive queste esperienze come noi lo sa… Piccoli gesti di grande valore che nella vita comune sono sempre più rari.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

diciassette − due =

Related Posts