Sulle tracce della Grande Guerra e del ghiaccio che non c’è più.

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Una semplice escursione che da Pozza di Fassa permette di visitare le zone in cui vi erano gli accampamenti dei soldati durante la Grande Guerra e di prendere atto di come il cambiamento climatico sta trasformando l’ambiente.

Da Pozza di Fassa, nel cuore della Val di Fassa, prendiamo la navetta (a pagamento) che ci conduce al Vidor, ossia alla parte finale del paese, da dove partono altre due navette: quella che conduce alla Val San Nicolò e quella che porta invece alla Val Monzoni. Noi proseguiamo con la navetta che in circa quindici minuti ci porta alla Malga Monzoni, nell’omonima valle. Lungo la strada sono ancora ben visibili i danni causati qualche anno fa dalla tempesta Vaia. Abeti alti venti o trenta metri spezzati come fossero ramoscelli o addirittura sradicati. Una volta arrivati alla malga Monzoni riempiamo le borracce alla fontana e partiamo a piedi verso il rifugio Taramelli. Il percorso è facile e di breve durata. Poco prima di arrivare al rifugio Taramelli, attraversiamo un ghiaione dove fino a quattro-cinque anni fa si trovava un ghiacciaio lungo circa cento metri e largo circa venti. Nel 2019 il ghiacciaio si è ritirato notevolmente portando alla luce un reperto della Grande Guerra: un grosso colpo di mortaio. L’anno successivo, nel 2020, il reperto è stato trasferito al rifugio Taramelli (dove lo si può vedere ancora oggi) e il ghiacciaio si è ridotto ancora. Nel 2021, infine, del ghiacciaio non vi è più traccia e così ancora oggi.

Nella prima fotografia si può vedere il ghiacciaio nel 2019, quando già si era notevolmente ridotto rispetto agli anni precedenti. Nella seconda fotografia il ghiacciaio nel 2020, ulteriormente ridotto e infine, nella terza fotografia, il ghiaione come appare oggi, senza più il ghiacciaio.

Nella prima fotografia, del 2019, si può vedere il reperto della Grande Guerra ancora in terra, al margine del ghiacciaio che si stava ritirando. Nella seconda fotografia il reperto esposto presso il rifugio Taramelli.

Purtroppo in questi luoghi, come anche nella vicina e più famosa Marmolada, gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti e preoccupanti. Il territorio muta e mostra segnali di sofferenza che non si possono ignorare.

Dal Rifugio Taramelli proseguiamo salendo con il sentiero 604 in direzione Passo le Selle (da non confondere con il Passo Sella, in tutt’altra parte e raggiungibile comodamente in auto). Il percorso è semplice ma in salita abbastanza ripida e si può ammirare una flora ricca di fiori dai diversi colori. Con un po’ di fortuna e facendo attenzione è possibile scorgere camosci, caprioli e sui punti più alti e lontani persino gli stambecchi.

Continuiamo a salire e il paesaggio che possiamo ammirare diventa più ampio e spettacolare. E’ possibile vedere una buona parte della Val di Fassa, in direzione di Pozza e Vigo e del gruppo del Catinaccio. La vegetazione, pian piano, si fa più rada e lascia il posto alla roccia. Raggiungiamo un piccolo laghetto che segna il punto dove si trovavano gli accampamenti dei soldati durante la Grande Guerra. La conformazione delle montagne e la scarsissima presenza di persone anche nei periodi più turistici, regala alla conca in cui ci troviamo un silenzio perfetto, interrotto a volte soltanto da un sibilo leggero del vento.

Il silenzio ci porta ad avanzare con rispetto, su quel piccolo sentiero che sale e sul quale, lo si percepisce fin troppo bene, poco più di cento anni fa molti soldati hanno combattuto, non soltanto contro il nemico ma anche (e a volte soprattutto) contro le difficoltà, il freddo, la neve. E’ come se qualcosa di quegli uomini fosse rimasta ancora oggi. I nostri passi si fanno leggeri, quasi a non voler fare troppo rumore, e lenti per osservare quel che rimane del primo conflitto mondiale. A valle, a Moena, abbiamo visitato il Museo della Grande Guerra, ma in questi luoghi, anche se oggettivamente quel che resta non è molto, è un po’ come tornare indietro nel tempo ad osservare, con l’immaginazione oltre che con gli occhi, le condizioni di vita nell’accampamento militare.

Camminiamo ancora un po’ e raggiungiamo il rifugio Passo le Selle, dove passava la linea austro-ungarica. Dal rifugio si può ammirare il sottostante Passo San Pellegrino, meta di molti sciatori durante l’inverno. Ci fermiamo per bere qualcosa e assaporare uno yogurt con i frutti di bosco. Poi è il momento di qualche fotografia di rito, dove oggi restano le targhe a commemorazione e a ricordo degli eventi bellici.

Dal Rifugio Passo le Selle si può scendere verso Passo San Pellegrino e proseguire poi con il pullman di linea verso Moena, oppure tornare percorrendo al contrario la strada fatta all’andata. Noi optiamo per questa seconda scelta, così da poter ammirare ancora una volta le bellezze di quei posti magici. Raggiungiamo di nuovo il laghetto, la conca e più giù il Rifugio Taramelli, poi proseguiamo verso la Malga Monzoni e quindi, servendoci di nuovo delle navette, torniamo a Pozza di Fassa. E’ importante, per chi sceglie di tornare come abbiamo fatto noi, raggiungere la Malga Monzoni prima che il servizio navette termini, per non essere costretti a scendere a valle a piedi.

Un’ultima emozione ci viene data durante il ritorno, poco dopo aver superato il laghetto. Mentre stiamo osservando tre marmotte che passeggiano a pochi metri da un piccolo corso d’acqua, una di loro lancia, acuto, il segnale di allarme e subito si rifugiano nelle loro tane. Noi alziamo gli occhi e due aquile volteggiano a pochi metri sopra di noi.

3 Replies to “Sulle tracce della Grande Guerra e del ghiaccio che non c’è più.”

  1. Bellissimo ed interessante articolo, Cristiano, da leggere con la curiosità dell’ escursionista, da assaporare e gustare con l’attenzione del naturalista, da rivivere con l’emozionente ricerca dello storico.
    Un abbraccio

  2. Bello Cristiano, zona che conosco per averci fatto il corso roccia con gli Alpini durante la naia…riconosco la sensazione di “camminare nella storia” che descrivi…complimenti!

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